La fotofobia spiegata da una nuova via

 

 

ROBERTO COLONNA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 09 marzo 2019.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La fotofobia è un sintomo di riscontro abbastanza frequente nella pratica medica, ma il modo in cui si generi è rimasto fino ad oggi sconosciuto. Il fastidio per la luce, fino ad una vera e propria sofferenza nel percepirla, si associa in clinica a varie forme di cefalea, alle meningiti, alla concussione e a numerose malattie oculistiche. La neurobiologia della fotofobia è rimasta a lungo un grande enigma, ma i progressi che sono stati compiuti di recente nel tracciare le varie possibili vie di connessione attraverso cui l’informazione luminosa è elaborata dal cervello, hanno gettato le basi per comprendere l’anatomia funzionale di questa manifestazione clinica e la complessità dei sintomi che possono essere innescati dalla luce.

Burstein, Noseda e Fulton hanno realizzato un’accurata rassegna degli studi condotti in questo campo, in particolare le osservazioni anatomiche e fisiologiche, per desumere la neurobiologia del sintomo fotofobico, con particolare riferimento alle cefalee.

(Burstein R. et al., Neurobiology of photophobia. Journal of Neuroophthalmology 39 (1): 94-102, March 2019).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Anesthesia and Critical Care (RB, RN) Beth Israel Deaconess Medical Center, Harvard Medical School, Boston, Massachusetts (USA); Department of Ophthalmology (ABF), Children’s Hospital Boston, Boston, Massachusetts (USA).

La percezione della luce è la base stessa del fenomeno della visione, pertanto costituisce il processo più indagato nello studio della fisiologia oculare. La retina, infatti, rileva mediante le cellule recettrici dei coni e dei bastoncelli le configurazioni di stimoli luminosi che converte in segnali neurali, poi veicolati dal nervo ottico alle aree cerebrali specializzate per l’elaborazione dell’informazione visiva. La retina presenta l’importante proprietà dell’adattamento flessibile all’intensità della luce ambientale, rispondendo con elevata sensibilità ed efficienza alle notevoli variazioni diurne di intensità della luce solare. L’aumento dei livelli di luce rende progressivamente la retina meno sensibile, così che la risposta ad un cambiamento frazionario di intensità è pressoché indipendente dal valore dell’illuminazione globale. L’informazione circa il livello di luce assoluto sembra essere trascurata dalla retina, a favore dell’analisi della riflettanza degli oggetti presenti nel campo di sguardo. La trasduzione degli stimoli luminosi, come è noto, comincia nel segmento esterno dei fotorecettori, quando una molecola di pigmento assorbe un fotone. Questo primo evento innesca un’amplificazione a cascata mediata da proteine G, che alla fine riduce la conduttanza di membrana, iperpolarizza il fotorecettore e riduce il rilascio di glutammato dalle sinapsi. Numerosi meccanismi a feedback, in cui gli ioni calcio intracellulari hanno un ruolo importante, consentono la disattivazione degli enzimi della cascata, determinando la cessazione della risposta alla luce.

I bastoncelli (circa 100 milioni nella retina umana), efficienti rilevatori dei fenomeni luminosi in quanto sensibili alle lunghezze d’onda della luce crepuscolare e implicati nella visione notturna, sono anche i fotorecettori più studiati e considerati un riferimento per molti aspetti della fisiologia retinica[1]. I coni (circa 6 milioni nella retina umana), implicati nella visione discriminata alle elevate intensità luminose diurne e addensati nella fovea, sono molto meno sensibili alla luce in generale, ma specializzati per la visione dei colori attraverso tre tipi, distinti dal peculiare spettro di frequenze cui rispondono[2]. I coni formano sinapsi con le cellule bipolari della retina, che eccitano le cellule gangliari. I bastoncelli si connettono specificamente con le “cellule bipolari specializzate per i bastoncelli”, i cui segnali sono veicolati, attraverso le cellule amacrine, alle cellule bipolari specializzate dei coni. Queste vie eccitatorie verticali sono modulate da connessioni orizzontali che sono primariamente inibitorie. Attraverso queste reti laterali, la luce dei campi recettivi circostanti a una cellula gangliare controbilancia gli effetti della luce nel centro. Gli stessi circuiti a feedback negativo acuiscono le risposte temporanee delle cellule gangliari.

Veniamo ora ad una sintesi del contenuto degli studi analizzati da Burstein, Noseda e Fulton.

Per cercare di comprendere le basi fisiopatologiche del sintomo della fotofobia, sono stati condotti numerosi studi su modelli sperimentali, che hanno consentito di acquisire molti dati, ma una fonte privilegiata di conoscenza è stata la comparazione fra non vedenti e normovedenti affetti da cefalea. Tali studi hanno condotto alla scoperta di una nuova via di connessione retino-talamo-corticale che veicola segnali luminosi provenienti da cellule gangliari della retina (RGC, da retinal ganglion cell), sia melanopsinergiche sia non-melanopsinergiche, a specifici neuroni talamici. L’attività di questi neuroni è indotta dalla cefalea e i loro fasci assonici di proiezione trasportano segnali, che contengono informazioni sul dolore del capo e sulla luce, a varie aree della corteccia cerebrale implicate nella genesi dei comuni sintomi di emicranie e cefalee.

Un’altra importante scoperta è costituita da nuove proiezioni di cellule RGC su neuroni ipotalamici mai identificati in precedenza ed apparentemente specifici nella partecipazione a componenti sintomatologiche connesse. Tali neuroni, infatti, regolano funzioni dell’ortosimpatico e del parasimpatico, nell’ambito della fisiologia del sistema nervoso autonomo.

Infine, Burstein, Noseda e Fulton menzionano un lavoro recente che consente, su nuove basi, di comprendere le ragioni neurofunzionali della preferenza dei colori manifestata dai pazienti nella fotofobia associata a cefalea. Tale studio ha definito i dettagli dei ruoli svolti da retina, talamo e corteccia cerebrale.

Concludendo, l’insieme delle acquisizioni analizzate in questa rassegna delinea un sostrato neurale per la comprensione della complessa fisiopatologia sottostante l’avversione alla luce associata a cefalea e disturbi neuroftalmologici.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Roberto Colonna

BM&L-09 marzo 2019

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Si ricorda che i bastoncelli possono segnalare l’assorbimento di un singolo fotone. La loro elevata sensibilità si è evoluta attraverso la visione alla luce della luna.

[2] Sono indicati come coni L, M e S, da long- medium- e short-wave.